“Il silenzio era un urlo muto d’ironia”
“Il languore malato dell’ineluttabilità”
“Come molte debolezze umane, quell’istante passò veloce, ma senza fare prigionieri”…
Quali e quante frasi lette o sentite, ci si imprimono dentro mettendo in moto qualcosa? Quelle sentite fanno parte del nostro vivere, fioriscono attorno a noi, e tante sono quelle che mai avremmo voluto udire, così come tante sono quelle che ci fanno vibrare i sensi affamati di lusinghe, o la mente assetata di gratificazioni.
Ma quelle che leggiamo, quelle che stanno sulle pagine di un libro che altri hanno scritto, ignari di noi…
“Pianse in silenzio, aspettando che dal cielo o dall’inferno le arrivasse il dono fragoroso della rabbia”: quante volte avete provato questa sensazione?
Perché leggere un libro? Perché le parole in esso contenute raggiungono i nostri intimi segreti, le assenze che ci hanno mutilati, le presenze che più non vorremmo o quelle che avremmo voluto ancora. Desideri inconsci, rimpianti nascosti, sogni abortiti sul nascere: è là che la frase di un libro va a colpire, impietosa, facendo sanguinare ferite mai cicatrizzate o procurandone di nuove. Perché la letteratura, costringendoti a scandagliare aspetti della tua esistenza che preferivi ignorare, diviene più della vita. Più potente e destabilizzante.
Prima di soffermarti su quella maledetta frase, potevi eludere (siamo così bene allenati a farlo), ma dopo no, dopo eccolo il pugnale sadico che si pianta nello stomaco; mettendo in moto l’assenza di noi, ride di vulnerabilità e si insinua sotto la pelle levandoci ogni dubbio: siamo deboli, deboli e nostalgici, impregnati di “se”.
Nondimeno, con affascinate masochismo, ci nutriamo di questo in treno, sul divano di casa, durante le domeniche piovose, nelle sale d’aspetto o in spiaggia.