I raggi del sole sulla città rallegrano ma ciò che caratterizza le nostre camminate e i nostri itinerari, in questi giorni, è il freddo che incalza: noi ci incappucciamo, ci imbottiamo con maglioni e piumini ultraleggeri e torniamo a casa, con le mura e i tetti a proteggerci dalla notte e dalla sua umidità metallica che ferisce e che quando incalza, colpisce duramente. Intanto agli angoli delle strade, negli anfratti della stazione centrale e sotto i portici, l’esercito dei senzatetto si acquatta e smette di ronzare; si concede un riposo che confina con un pericolo vecchio come il mondo, lo stesso che in tre settimane dal primo al 27 gennaio di quest’anno ha ucciso 28 clochard. Non c’è niente di romantico nella vita di questi “figli del cielo”; loro non “sanno ascoltare il vento sulla loro pelle”, non gliene importa niente di avere “la propria carne a contatto con la carne del mondo”; lottano con i fantasmi del passato e del presente ogni giorno e non sanno cosa siano gli stereotipi letterari. Quello che li differenzia da tutti noi altri è che, di solito, loro non si lamentano mai e proprio per questo non dobbiamo dimenticarci di aiutarli. Tutti noi ci siamo sentiti un poco mendicanti quando abbiamo fatto affidamento sulla solidarietà degli amici ma i figli del cielo non hanno amici e non hanno bisogno di solidarietà