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Riparazione antieconomica del veicolo incidentato: è possibile solo se non c’è arricchimento per il danneggiato. 

Dopo le prime entusiastiche letture a caldo dell’ordinanza della Cassazione sulla riparazione antieconomica (n. 10686/2023), proviamo a leggere la pronuncia con un po’ di distacco e con occhi più lucidi.

La parte della decisione che qui ci interessa è quella relativa al primo motivo di ricorso, fondato sulla presunta violazione e falsa applicazione di una serie di norme (tra cui l’art. 2058 cc), in particolare per omesso esame di un fatto decisivo. Tra le altre censure, quella che rileva è la seguente: se è vero che il Tribunale di Brindisi, nell’escludere il risarcimento in forma specifica per antieconomicità delle riparazioni, ha omesso di motivare sulla eventuale possibilità che essa potesse comportare una locupletazione per il danneggiato.

La Corte reputa fondato il motivo e parte con l’analisi dell’art. 2058 cc, già ampiamente esaminato in altre sue pronunce (tra le ultime Cass. ord. 1 febbraio 2023 n. 2982).

Ripercorriamo l’iter logico giuridico della Corte, che, saggiamente e in maniera cristallina, inizia da alcune premesse ormai acquisite per sviluppare la sua conclusione, a nostro modesto avviso, solo in parte innovativa.

Risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente

Punto primo: in base all’art. 2058 cc, il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica “qualora sia in tutto o in parte possibile” (co. 1); il giudice ha il potere di decidere di risarcire per equivalente se la reintegrazione in forma specifica “risulta eccessivamente onerosa per il debitore” .

«In relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro (ossia nel suo stato ante sinistro) e quello del bene danneggiato (cfr. Cass. n. 5993/1997 e Cass. n. 27546/2017), ovvero nella “differenza fra il valore commerciale del veicolo prima dell’incidente e la somma ricavabile dalla vendita di esso, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare dopo l’incidente, con l’aggiunta ulteriore della somma occorrente per le spese di immatricolazione e accessori del veicolo sostitutivo di quello danneggiato” (Cass. n. 4035/1975)»

E fin qui niente di nuovo, come ricorda la stessa Corte citando suoi celebri precedenti (Cass. 5993/1997; Cass. 27546/2017).

Punto secondo: Le due modalità di liquidazione si pongono tra loro in un rapporto di regola ad eccezione: quindi la reintegrazione in forma specifica è la regola e quella per equivalente l’eccezione, che trova ingresso, a discrezione del giudice, quando la reintegrazione in forma specifica risulti “eccessivamente onerosa” (sebbene possibile).

La giurisprudenza ha ritenuto ricorra l’”eccessiva onerosità”

«”allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo” (Cass. n. 2402/1998, Cass. n. 21012/2010 e Cass. n. 10196/2022)»

precisando subito dopo che

«se la somma occorrente per la reintegrazione in forma specifica “supera notevolmenteil valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una locupletazione del danneggiato” (Cass. n. 24718/2013, in motivazione, a pag. 5)»

E fin qui ancora nulla di nuovo, avendo la Corte richiamato ancora una volta un suo illustre precedente, alla cui lettura integrale si rinvia. Infatti, già la citata Cassazione 24718/2013 indicava la necessità dei due contestuali elementi da valutare: la non eccessiva onerosità per il danneggiante, la mancanza di locupletazione per il danneggiato.

Per le varie tesi relative alla eccessiva onerosità, al significato di riparazione antieconomica, ai possibili criteri di determinazione del valore commerciale del veicolo, si rinvia al nostro contributo “Valore commerciale del veicolo danneggiato da sinistro stradale: risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente. Limiti legislativi ed orientamenti giurisprudenziali”, in Arch. giur. circ. e sin. strad. 10/2016, gratuitamente disponibile al seguente link https://avvocatofusco.com/wp-content/uploads/2021/09/Valore-commerciale-del-veicolo-danneggiato-da-sinistro.pdf.

Punto terzo: a questo punto la Corte fa delle precisazioni, e si spinge oltre se stessa.

«Ritiene il Collegio che, nel bilanciamento fra l’esigenza di reintegrare il danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un costo eccessivo, l’eventuale locupletazione per il danneggiato costituisca un elemento idoneo a orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico della correttezza dell’applicazione dell’art. 2058, 2 co. c.c.»

Caratteri della riparazione per equivalente

Ecco dunque la prima novità, a mio avviso degna di nota: nella scelta se ricorrere o meno alla riparazione per equivalente, va rimarcata l’importanza della locupletazione per il danneggiato.

Non si sceglie la riparazione per equivalente solo perché quella in forma specifica è “eccessivamente onerosa” per il debitore. Essa deve al contempo non costituire un ingiusto arricchimento per il danneggiato, in ossequio al consolidato principio,“sotteso all’intero sistema della responsabilità civile – secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un arricchimento per il danneggiato”.

Il concorso dei due elementi fa propendere per la riparazione per equivalente.

E infatti, la Corte si premura di spiegare meglio:

«Invero, va considerato che il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione»

La Corte non innova, ma chiarisce. Non stravolge, ma specifica e definisce meglio la seconda parte del suo assioma, ossia il profilo dell’ingiusta locupletazione, forse in passato poco sviluppato nelle motivazioni dei giudici di merito.  E riporta alcuni parametri di riferimento, che avranno sicuramente un impatto notevole sulle prassi risarcitorie e nelle aule giudiziarie.

Subito dopo poi la Corte precisa che al debitore non può essere imposta sempre e comunque  – e a qualunque costo – la riparazione in forma specifica: insomma attenzione a non cadere ora nel lato opposto, pare dire la Corte.

Quando il ripristino del veicolo si discosti “in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito”.

Insomma, va bene che si può risarcire in forma specifica anche se i costi per il ripristino si discostino sensibilmente dal valore di scambio del bene, tenuto conto dell’interesse del danneggiato a vedere riparato il veicolo (in virtù di tutte le possibili motivazioni del danneggiato sopra indicate), ma che non vi sia mai un risarcimento eccedente la misura del danno tale da comportare un arricchimento per il danneggiato.

«La giurisprudenza di legittimità ha individuato il punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle riparazioni non superi “notevolmente” il valore di mercato del veicolo danneggiato; si tratta di un criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell’obbligato rispetto ad eccessi liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che -come detto- debbono trovare tutela nella misura in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non ne comportino una indebita locupletazione»

A me sembra che il concetto sia stato ribadito sufficientemente in maniera chiara ed inequivocabile e come tale dovrà trovare applicazione: stare su entrambi gli aspetti per una equilibrata e saggia scelta del tipo di ristoro da riconoscere, caso per caso. Di questo potere il giudice deve fare attento uso, dando adeguata e completa motivazione.

«In tale ottica, deve dunque ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2058, 2 co. c.c., la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato».

L’ordinanza palesemente trascura di affrontare la problematica relativa alla riparazione “eccessivamente onerosa”: non ritorna sulla questione annosa ormai stigmatizzata in tanti suoi precedenti. Non ci sta dando “i numeri”, le percentuali tra valori ante e post sinistro in base ai quali possiamo dire ormai via libera alla riparazione antieconomica. Anzi, implicitamente invita a non dimenticare i criteri ormai consolidati.

Se vi è un motivo per apprezzare la pronuncia esso riguarda, come detto, la necessità di contemperare quella onerosità della riparazione con la possibilità di venire incontro a specifiche esigenze del danneggiato a conservare il suo “vecchio” veicolo, il suo usato a cui è affezionato, quando ciò non comporti per lui un arricchimento ingiustificato.

Tanto detto, il ricorso viene accolto nella misura in cui il Tribunale aveva escluso la riparazione in forma specifica sol perché comportava «il pagamento, a carico dei danneggianti, di “una somma pari quasi al doppio del valore del veicolo», senza aver però indagato se essa determinasse una eventuale locupletazione del danneggiato. Il Tribunale nulla dice “circa il fatto che la riparazione comportasse un aumento di valore del veicolo rispetto a quello ante sinistro”.

Questo l’ultimo corollario del principio sopra esposto: il giudice dovrà motivare se la riparazione antieconomica, pur ammissibile, comporti un aumento di valore del veicolo rispetto a quello antecedente il sinistro.

Infine,

«Laddove il danneggiato decida – com’è suo diritto- di procedere alla riparazione anziché alla sostituzione del mezzo danneggiato, non risulta giustificato (perché si tradurrebbe in una indebita locupletazione per il responsabile) il mancato riconoscimento di tutte le voci di danno che competerebbero in caso di rottamazione e sostituzione del veicolo; invero, a fronte di un danno accertato, l’opzione del giudice in favore del criterio liquidativo per equivalente deve necessariamente comportare il riconoscimento di tutte le voci di danno che sarebbero spettate al danneggiato se non avesse scelto di riparare il mezzo e, quindi, anche di costi che non siano stati effettivamente sostenuti, ma che sono necessariamente da considerare nell’ambito di una liquidazione per equivalente che, per essere tale, deve comprendere tutti gli importi occorrenti per elidere il danno mediante la sostituzione del veicolo danneggiato».

Ci si sta qui riferendo ai costi accessori ormai riconosciuti come parte integrante del risarcimento per equivalente quali spese di rottamazione, spese per nuova immatricolazione, bollo non goduto e fermo recupero mezzo analogo, il cui riconoscimento non costituisce locupletazione per il danneggiato laddove tagliarli significherebbe “punire” (così si esprime la Corte) il danneggiato per aver scelto di riparare anziché sostituire.

In conclusione, senza voler sminuire la portata originale della decisione, sarei più propensa a pensare che la Corte ha voluto contemperare un po’ le contrapposte esigenze in campo: attenuare, da un lato, la rigidità di certe pratiche liquidative che si realizzano in fase di trattative tra il danneggiato e le compagnie assicurative sempre tendenti al ribasso; incoraggiare, dall’altro, un uso attento del potere di scelta del giudice per il risarcimento per equivalente, parametrato non più soltanto a criteri squisitamente economici monetari. Un’accurata indagine da svolgersi caso per caso potrà sicuramente portare a soluzioni sagge dentro e fuori dalle aule giudiziarie.

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