Recentemente, tra il 4 e il 5 dicembre scorso se la memoria non mi inganna (è proprio il caso di dire), il nostro Parlamento ha approvato la legge sul cosiddetto “oblio oncologico” che prevede disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da cancro.
L’iter per l’ottenimento di un mutuo, un finanziamento, una polizza assicurativa, l’accesso all’ adozione di un figlio, all’affidamento di un minore, a procedure concorsuali, ai concorsi, al lavoro, sono alcuni dei settori in cui la legge sull’oblio oncologico inciderà sensibilmente; grazie ad essa, le persone guarite dal mostruoso male da più di dieci anni, avranno diritto a non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione di salute.
Anni or sono, il Regolamento UE 2016/679 (noto con l’acronimo GDPR, tradotto, Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati), relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, all’art. 17, ha posto una serie di motivi in presenza dei quali l’interessato, ossia una qualsiasi persona fisica identificata o identificabile, ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo.
Fra le varie ipotesi previste dall’art. 17 del GDPR, l’interessato può chiedere la cancellazione quando i propri dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, o quando abbia revocato il consenso al trattamento o i dati siano stati trattati illecitamente. Va da sé che lo sviluppo di Internet, la capacità pressoché smisurata del web di immagazzinare e conservare dati e informazioni su fatti e persone, la rilevanza centrale che le informazioni in genere, hanno perciò assunto nella società attuale (https://www.passnews.it/2023/12/05/word-wide-web/), hanno posto la questione del diritto all’oblio, ossia di come tutelare l’interesse dell’individuo affinché non vengano riproposte vicende ormai superate dal tempo; in altre parole, il diritto di essere dimenticato, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. L’oblio acquisisce quindi una sua “dignità giuridica”, se così si può dire.
Volendo dare struttura ad una suggestione immaginifica, potremmo vedere oblio e memoria, come due facce di una stessa medaglia: il tempo. E’ come se, lanciandola in aria la “medaglia”, facendola fluttuare in un intervallo indefinito (un po’ come si fa con la monetina quando, gettandola in aria, si tira a testa o croce per scegliere il lato del campo da gioco), al momento di cadere, dopo l’ultima giravolta, le si concederà di toccare il suolo solo se cascherà su un terreno libero da considerazioni e valutazioni pregresse che non possono(e non devono) ledere la sensibilità dell’interessato ed il giudizio che su di esso ne può derivare.
Appare evidente (perlomeno così mi sembra), che vi sia perciò una correlazione tra memoria ed oblio, un specie di influenza reciproca. Quasi come se l’oblio, anche per effetto del rango normativo acquisito nel tempo, non fosse più in contrasto con la memoria, ma ne sia anzi divenuto una sorta di cassetto degli attrezzi utili a favorire un’interazione tra il concetto di rimozione, abolizione e quello opposto di mantenimento, custodia.
La memoria ha (o dovrebbe avere) quindi un ruolo inedito, una nuova funzione? Dovrebbe forse svolgere un compito diverso o ulteriore? Vi è chi sostiene, specie tra gli studiosi delle teorie sul negazionismo, che l’ingenua corrispondenza della memoria con l’equazione “per non dimenticare” oppure “mai più”, non abbia sortito gli effetti desiderati.
L’aumento di razzismo ed intolleranza nei paesi in cui la memoria contro la xenofobia ad esempio è stata sostenuta con maggiore intensità ne sarebbe una prova; ciò spinge alcuni esperti a chiedersi cosa non ha funzionato. E’ come se l’oblio e l’evoluzione che lo riguarda, ci suggerisse l’opportunità (o la necessità) talvolta di resettare? Non ho la risposta e forse non sono nemmeno capace di trovarla, mi piace però stimolare considerazioni che inducano, me stesso in primis, a riflettere su motivi contrapposti o apparentemente tali.
A tal proposito, mi sovviene che i “luoghi” in cui solitamente si sedimentano, si custodiscono fatti o esperienze del passato, (singoli o nel loro complesso), sono solitamente due: la mente e il cuore; si dice infatti rammentare o dimenticare, per indicare qualcosa che è legato alla (o si vuole togliere dalla) reminiscenza della mente, ma la memoria può anche essere espressa col termine ricordare (che è legato alla memoria del cuore) o scordare ovvero un allontanamento dal cuore, dalla memoria affettiva.
Ne ricavo l’impressione (mia personale e del tutto opinabile), che se mente e cuore, rammentare e ricordare insieme, invece che alleggerirsi reciprocamente, spingono unicamente ad immedesimarsi ad esempio con un torto subito, ad identificarsi con l’affronto patito, ad assimilare l’ingiustizia sofferta, senza rapportarsi, confrontarsi con esse, possono scatenare un controverso effetto, in qualche modo simile all’equazione memoria uguale “mai più” oppure “per non dimenticare”; si finirebbe per l’essere come Funes el memorioso di Borges che ricordando tutto, non riusciva a cogliere e a trattenere nulla.
La memoria è un angelo custode, è la banca dati imprescindibile, è maestra e sentiero perciò, specie quando assurge a un ruolo collettivo, va protetta e coccolata, non si può e non si deve disperdere o depauperare. Va trattata, esposta, esplorata in modo che possa sempre più contribuire alla crescita civile e morale della società.
Forse l’oblio in questo può darci una mano aiutandoci a comprendere quand’ è che sia opportuno mandare la memoria “in prescrizione”. I giardini di marzo è uno dei capolavori del mitico duo Mogol Battisti del 1972. E’ intrisa di ricordi, brevi memorie di vita del suo autore che a un certo punto dice: “poi sconfitto tornavo a giocar con la mente e i suoi tarli”; i tarli corrodono, distruggono e credo che quando la memoria si trasforma in tarlo, la mente poi torna a fare giochi pericolosi, arrassusia!