Qualcuno ha visto Zazà
Il Napoli è incomprensibilmente desaparecido, pare ci vogliano fare un’intera puntata di “Chi l’ha visto?” Sembra Zazà della famosa canzone, misteriosamente scomparsa nel momento culminante del finale travolgente del Parsifallo, che la banda di Pignataro stava suonando durante la festa di San Gennaro, dove si trovava insieme al suo innamorato Isaia, il quale affranto, senza darsi pace, Zazà continuava a cercarla.
“Dove sta Zazà” è una canzone del 1944 proposta nel tempo da vari artisti; a ridarle popolarità in epoca relativamente più recente fu Gabriella Ferri, che ne è stata interprete memorabile e che la inserì nel 1971 nel proprio Album dal titolo “E se fumarono a Zazà”.
Le cronache narrano che Renzo Arbore, rimastone impressionato, lodò l’interpretazione della Ferri, efficace nell’aver saputo trasformare il brano da “inno corale di allegria” a “urlo di solitudine”, praticamente come il tifoso del Napoli adesso.
Commentare la partita di sabato passato contro il Toro, farlo avendo di mira il gioco, ha poco senso: “Come fai a commentare una cosa che non esiste ?” esordì in chat Giggino detto il Pacileo subito dopo il secondo gol del Toro. Ed in effetti la conversazione susseguitasi all’ultima partita, stavolta assai scarna perché la voglia di parlare non ci stava nemmeno se un logopedista esperto tirava fuori le parole, ha accantonato il gioco, spostandosi sull’atteggiamento manifestato dalla squadra e sulle sue possibili cause; non prima però che Pepp ‘o ‘ngnere lanciasse il suo strale, stavolta verso Cajuste (Anguissa se l’è scampata perché in Coppa d’Africa) che pure isso a detta di Pepp “può giocare ma in serie B!”.
Per Giggino “il problema è la testa, la squadra non è serena. Dopo aver trattato Giuntoli e Spalletti come 2 accessori da abbigliamento era tutto ampiamente prevedibile. La colpa è di chi, travolto dal successo, ha pensato di essere nu Padreterno e nun ne ha azzeccato nisciuna! Continua a peccare di vanagloria, è riuscito persino nella faraonica impresa di ingaggiare un allenatore no peggio, ma assai peggio di quello di prima!” “In campo ci vanno i giocatori” replica Eduardo, “il Presidente ha le sue colpe ma pure i giocatori non sono esenti. Mazzocchi, ne vogliamo parlare? Rrahmani e Juan Jesus ….. ve pare mai possibile?” L’assenza dal dibattito di Pepp durò giusto il necessario “la contestazione della curva però ha riguardato solo i calciatori non anche il presidente” replicò ‘o ‘ngnere, “te pare giusto Eduà?” Non pago, Pepp invia in chat la foto di un libro che esalterebbe (lo si intuisce dal titolo, non avendolo letto) l’efficienza del modello innovativo del Presidente. Il commento sotto la foto apposto da ‘o ‘ngnere era assai eloquente: “ma e che stamme parlanno? Zero infrastrutture, una squadra distrutta, senza capo e senza coda e con i giocatori contati, una società senza appeal dalla quale molti vorrebbero scappare e nessuno quotato che ci vuole venire, senza un progetto o una visione, che ha dilapidato un patrimonio di entusiasmo ed energia collettiva, incapace di fare il salto di qualità, ripiombata nella più totale mediocrità, né ma me sapite dicere stu modello innovativo addò sta? Tutta chesta efficienza addò se trova?”.
Espressi la mia condivisione, con Eduardo che con qualche leggero distinguo, pure ci stava appresso. D’altronde la chat il dado lo ha tratto, si è schierata (https://www.passnews.it/2023/12/26/le-voci-di-dentro-8/) e resta coerente con la propria posizione che, in assenza di un salto di paradigma, è destinata a restare tale anche nel caso (auspicato ovviamente!) in cui il Napoli vincesse la Supercoppa Italia e/o passasse il turno in Champions contro il Barça (anche qui fingers crossed!!).
Resta a mio avviso sorprendente l’indifferenza della piazza, quasi come fosse sotto anestesia, che tutto sembra concedere a chi si è autodenunciato responsabile. La sensazione, ovviamente fallace, ci mancherebbe, è che il modo di fare impresa dell’attuale proprietà della SSC Napoli sia ormai in declino, anzi peggio, lontano dalla realtà. Prova ne sono il nuovo ennesimo sondaggio (riportato recentemente da molte testate non solo sportive) verso Mr Conte (ce lo vedete il Mr salentino, che di solito presenta una lista della spesa cara assai, col Presidente negli spogliatoi o che fa da controllore agli allenamenti?) ed il ritiro punitivo della squadra dopo Torino, una trovata questa a mio opinabile avviso folkloristica, che già in passato ha generato pesanti malumori con le conseguenze che sappiamo e che la tensione la aumenta ma non la scioglie.
Chiudendo la conversazione chattarola post Torino Giggino fa: “la mia idea è che i giocatori abbiano i cosiddetti stritolati (n.d.r. “cosiddetti stritolati” non sono esattamene le parole del messaggio inviato in chat, ma …. ci siamo capiti) da questa gestione tra mancati rinnovi, intrusioni nello spogliatoio, interferenze nella conduzione tecnica, trattative estenuanti sugli stipendi (ride solo Osimhen!) e via dicendo. Non escludo che la squadra si sia messa a dispetto contro il Feldmaresciallo”.
La chiosa finale di Giggino mi appiccia una lampadina nella testa che mi riporta come un lampo alla mente “Ogni maledetta domenica”, film di genere sportivo del 1999 diretto da Oliver Stone, con un cast assai a mestiere. Al Pacino, in grandissimo spolvero, è l’ interprete principale e veste i panni di Tony D’Amato, un abile coach italo americano che riesce a guidare una squadra di football americano da uno stato iniziale ad uno stato desiderato, utilizzando leve (anche mentali) e schemi tattici ben precisi.
Il film deve la sua fortuna (non solo ma anche) ad alcuni dialoghi molto incisivi che a mio avviso chi allena e prepara squadre, ma pure atleti di sport singoli, dovrebbe ripassare di tanto in tanto. Il discorso allo spogliatoio poco motivato, prima della partita decisiva della stagione (lo spareggio ai play-off) è da brividi, ‘o friddo ‘nguollo proprio. La cosa impressionante, oltre al dialogo, è la postura, il tono della voce, la mimica facciale, le pause ed il crescendo, uno spettacolo!
Vedere il filmato è entusiasmante (in rete si trova facile, dura poco meno di 5 minuti), ma pure leggerlo quel dialogo secondo me è parecchio stimolante ed ha il suo perché perciò, per chi volesse lo riporto di seguito: “Non so cosa dirvi davvero, tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale, tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso signori miei, credetemi…e possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio, mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti e penso…certo che…ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare, si perché io ho sperperato tutti i miei soldi che ci crediate o no, ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi da anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete, col tempo con l’età tante cose ci vengono tolte ma questo fa parte della vita, però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri e così è il football, perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d’errore è ridottissimo, capitelo, mezzo passo fatto un pò in anticipo o un pò in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa, ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi ce ne sono in ogni break della partita ad ogni minuto ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa, in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro e io so che se potrò avere un’esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro, la nostra vita è tutta li, in questo consiste, in quei 10 centimetri davanti alla faccia. Ma io non posso obbligarvi a lottare, dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. QUESTO E’ ESSERE UNA SQUADRA SIGNORI MIEI. PERCIO’ O NOI RISORGIAMO ADESSO COME COLLETTIVO O SAREMO ANNIENTATI INDIVIDUALMENTE, E’ IL FOOTBALL RAGAZZI E’ TUTTO QUI, ALLORA CHE COSA VOLETE FARE?”
Pare che il discorso allo spogliatoio pronunciato da Pacino / D’Amato, sia farina del sacco di Vince Lombardi, il più grande coach della storia dello sport americano, quello che dà il nome al trofeo che alzano i vincitori del SuperBowl.
Ci vuole poco a capire quanti danni può fare un corpo estraneo allo spogliatoio, nello spogliatoio, anche se chi ci entra è il padrone della messe: ci vuole sensibilità, predisposizione, preparazione, leadership (quella che gli altri ti riconoscono, autorevolezza, non autorità), conoscenza dello spirito umano più che dei contratti coi singoli, se no si rischia di fare solo danni e purtroppo si è già visto.
Chiudendo, merita una menzione anche la tag-line del film pronunciata da Toni D’Amato-Al Pacino: “Ogni maledetta domenica potrai vincere o perdere. Ma la vera domanda è: riuscirai a farlo a testa alta?”. Già, e allora …… “che cosa volete fare?