LA DURA E CONTROVERSA LEGGE DEL GOL
Il Napoli torna da Riyad ammaccato, con la testa alta e il petto in fuori però! Ci torna come ci era arrivato, povero di idee e misero di gioco ma con meno incognite e (forse) qualche consapevolezza in più.
Continuo sempre a chiedermi a cosa sia servito, o a cosa si pensasse potesse servire, il ritiro punitivo intermittente voluto in precedenza dalla Società, qual è stata l’effettiva utilità? Se una cosa di buono c’è stata nella finale di Supercoppa Italia persa contro l’Internazionale Milano è stato l’impegno e la resiliente abnegazione dei ragazzi.
Il modo in cui la sconfitta è arrivata dimostra che il Napoli sa ancora essere squadra nel carattere, nell’anima e nell’orgoglio; certo non basta, non è sufficiente, la squadra ha una fisionomia che latita ed un’ identità difficile da scorgere ma ha resistito finché ha potuto con tutte le forze e i mezzi a disposizione.
Mr. Mazzarri ha ricompattato i giocatori trovando il coraggio di rispolverare il suo credo tattico affrancandosi dal 4 3 3, facendo intuire (anche se non proprio capire per ora) che si può giocare anche in altri modi. Al Mister si lasci fare il Mister, a lui competono le incombenze tattico tecniche e ciò che succede in campo, il Presidente si occupi di altro, faccia il Presidente e non pure il coach o il Direttore Sportivo. In chat è stato un pullulare di critiche, per la verità strameritate, rivolte all’arbitro Rapuano.
Eduardo è il più avvelenato e intransigente, spalleggiato dal “Pacileo” credo più per mero ‘nzufamiento che per amor del vero. Pur condividendo le critiche all’arbitraggio a dir poco schizofrenico, che certamente ha instradato le sorti della partita a ns sfavore, facevo notare a ‘o pate e Jason che in 100 minuti il Napoli ha fatto un solo tiro che si possa definire tale in porta. “Per vincere devi tirare in porta, per tirare in porta devi creare occasioni, se non tiri in porta non hai probabilità di segnare e se non segni almeno un gol in più degli avversari non vinci” dicevo io aggiungendo: “limitarsi solo a dare la colpa all’arbitro, che sicuramente di colpe ne ha tante, equivale a trovare un alibi, ma un alibi non è la soluzione. Nel pallone la soluzione è il gioco e se non giochi non vinci!” Non l’avessi mai detto! La critica meno impietosa rivoltami da Eduardo è stata “oramai sei vittima di una senilità precoce”, dando vita a un battibecco animato e infinito rimasto arroccato su punti di vista assolutamente distanti. Anche fratemo fratemo, spinto forse da amore fraterno piglia le parti e fa ”Gli arbitri sono esseri umani e come tali sbaglieranno sempre, spesso a danno nostro, raramente favore. Perciò l’arbitraggio sarà sempre una scusa. Giocare senza fare un tiro in porta non è giocare a pallone e se a pallone non giochi, perdi, indipendentemente dall’arbitro”. Eduardo, ‘nzufato sempre dal “Pacileo” ripiglia la solita canzone “ma che ha fatto l’Inter? Ha segnato al 91* quando stavamo in dieci se no si andava ai rigori”.
Non me la sono proprio sentita di replicare che se andare ai rigori era la nostra più nobile intenzione oggettivamente non è che ci si potesse proprio stare allegri. Pure Brepp si è scagliato contro l’arbitro subito dopo la fine della partita; la notte però gli aveva restituito il suo solito applombe sfociato nella chiosa seguente: “C’è modo e modo. Si può fare il 343/352 e Mazzarri fa bene a farlo, ma la squadra vista nelle due partite di Supercoppa non mi è piaciuta per l’atteggiamento troppo rinunciatario.
Francamente il Napoli non ha più la dimensione del pullman davanti alla porta, puoi fare il modulo che vuoi però devi comandare il gioco, almeno provarci come atteggiamento mentale. 90 minuti a subire, palle spazzate via, sperando in qualche miracoloso contropiede, ci fa tornare ad un calcio che non paga e non mi piace, conta l’attitudine propositiva che si ha in campo. Poi, che l’espulsione di Simenone sia esagerata, che l’arbitro sia stato una mappina e che in 10 contro 11 ha falsato tutto è altrettanto vero”. Purtroppo la prima parte del messaggio di Brepp, che condivido in pieno, Eduardo, più avvezzo forse a trovare scuse che a cercare ragioni, non la recepirà mai, ma per questo continueremo a punzecchiarci divertendoci e va benissimo così.
Ne “La dura legge del gol” brano del 1997, gli 883 (tra l’altro Max Pezzali che ne è uno degli autori è un interista sfegatato), esprimono metaforicamente che nella vita non conta sempre vincere e fare gol ma dare spettacolo con il gioco di squadra e divertirsi per uscire dal campo senza rimpianti. Dice il brano ” È la dura legge del gol fai un gran bel gioco però se non hai difesa gli altri segnano e poi vincono loro stanno chiusi ma alla prima opportunità salgon subito e la buttan dentro a noi. …. È la dura legge del gol gli altri segneranno però che spettacolo quando giochiamo noi non molliamo mai loro stanno chiusi ma cosa importa chi vincerà perché in fondo lo squadrone siamo noi, lo squadrone siamo noi.”
Non è andata esattamente così come dice la canzone nel senso che pur avendo difeso con tenacia fino allo spasmo, abbiamo incassato la pappina che ha decretato la sconfitta e in campo non siamo nemmeno stati uno squadrone, però tutto sommato non abbiamo lasciato molti rimpianti a Riyad ….. o no?
E a proposito di rimpianti o per meglio dire di ricordi nostalgici, vorrei commemorare in chiusura un grande campione di un pallone che fù che ci ha recentemente lasciato. Un campione che è stato bandiera, uno di quelli in grado da solo di fare la differenza quando il calcio era molto più rude e meno tecnologico, un lombardo aspro, capace di non cedere alle lusinghe arci milonarie delle squadre blasonate del Nord che lo bramavano (l’Inter del presidente Angelo Moratti e la Juve). Il suo soprannome era “rombo di tuono” e la leggenda narra che glielo avesse affibbiato un giornalista lombardo asprigno pure lui, un certo Gianni Brera, dopo una vittoria del Cagliari a San Siro contro l’ Inter nell’anno dell’unico scudetto, partita nella quale “rombo di tuono” aveva realizzato una doppietta. Uno dei mie primi nitidi ricordi calcistici che ho da ragazzino è il gol del 3 a 2 che il compianto segnò allo scadere del primo tempo supplementare nella mitica semifinale mondiale Italia Germania Ovest di Messico 1970, su assist di Angelo Domenghini, dribblomane doc e ala gagliarda.
Alla terra Sarda ha dimostrato appartenenza, ricevendo da quella gente gratitudine e riconoscenza. Era un mancino autentico, meno sinistro del più grande mancino di sempre. “Pare che Lassù a voi mancini sia assegnata un’area riservata, tutta per voi, perciò quando te lo ritroverai vicino di posto, salutaci assai D10S!” Fai buon viaggio Gigi Riva, riposa in pace!