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Rilevanza probatoria del modulo CAI (Constatazione amichevole di incidente)

Cass. ord. 15431 del 3 giugno 2024

Sul modulo CAI (alias Constatazione Amichevole di Sinistro – modulo di denuncia di sinistro ai sensi dell’art. 143 D. Lgs. 209/2005, anche detto modulo blu) si è detto tantissimo e di tutto. E’ tornato alla ribalta grazie ad una pronuncia molto interessante della Cassazione che compie nuove e interessanti precisazioni rispetto al suo stesso orientamento. Se ne è fatto un gran parlare per cui risulta difficile dire e riferire cose originali.

Vorrei però fare un po’ il punto della situazione cercando di sintetizzare l’evoluzione del pensiero sul tema partendo proprio dalla recentissima Cassazione, ord. 15431 del 3 giugno 2024.

Il caso

La pronuncia prende spunto dal un tamponamento a catena che coinvolge tre veicoli fermi: ad agire in giudizio è la XX srl che cita in giudizio, innanzi al Giudice di pace di Roma, il proprietario del veicolo P che è andato ad impattare contro il veicolo D che a sua volta ha tamponato il veicolo attoreo.

Il Giudice di pace rigettava totalmente la domanda attorea; il danneggiato proponeva appello innanzi al tribunale di Roma, il quale confermava la sentenza di primo grado sostenendo che l’attore non aveva ottemperato all’onere probatorio su di lui incombente. Infatti, a supporto della sua domanda aveva prodotto unicamente il modello CAI sottoscritto da entrambi i conducenti; detto modello, senza ulteriori elementi probatori, era stato ritenuto dal tribunale “insufficiente a fornire la prova del fatto dedotto a sostegno della domanda. Ciò sulla base dell’affermazione secondo cui il modello CAI non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, dovendo essere la dichiarazione ivi contenuta liberamente valutata dal giudice, come confessione proveniente da uno solo dei litisconsorti necessari”.

Contro la sentenza del tribunale di Roma il danneggiato proponeva ricorso in Cassazione per erronea valutazione dei mezzi di prova. In particolare, secondo il ricorrente il tribunale non avrebbe dato al modello CAI il giusto valore che “i danni come risultanti dallo stesso erano compatibili con quelli accertati dalla fattura prodotta, sulla base della quale il giudice di merito ben avrebbe potuto ammettere una consulenza tecnica d’ufficio”. Insomma, secondo il ricorrente la prova era tutta documentale e quanto mancava poteva essere sopperito con la ctu (altra convinzione difficile da scardinare).

La Corte la pensa diversamente e ritiene il motivo non fondato sebbene ritenga doveroso correggere la motivazione della sentenza del tribunale. In effetti, qualche precisazione in merito al valore probatorio del modello CAI va fatto anche a beneficio dei giudici.

Proviamo a seguire il ragionamento degli ermellini.

“L’art. 143, comma 2, del D.Lgs. n. 209 del 2005 è chiaro nell’affermare che la C.A.I. sottoscritta da entrambi i conducenti determina una presunzione, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia svolto con le modalità e le conseguenze indicate su quel modulo. (…) La presunzione è finalizzata, chiaramente, ad un intento deflattivo del contenzioso, avendo lo scopo di garantire entrambi i conducenti del fatto che il riconoscimento concorde delle colpe non venga messo in discussione dagli assicuratori ribaltando l’onere della prova a carico del danneggiato. Ed è evidente che la previsione di una presunzione fino a prova contraria non esclude che la società di assicurazioni possa superarla fornendo, appunto, tale prova; ma significa anche che l’onere della stessa ricade a carico dell’assicuratore e non del danneggiato, come invece l’impugnata sentenza ha affermato nel caso oggi in esame (v. in argomento, tra le altre, l’ordinanza 6 dicembre 2017, n. 29146)”

Tale decisione si fonda sulla ben nota Cassazione a Sez. Un. sentenza 5 maggio 2006, n. 10311 secondo la quale “la dichiarazione confessoria contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’ art. 2733, terzo comma, cod. civ. , secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice”.

Sennonché, spiega la Corte, quella sentenza era stata emanata in un altro contesto e per risolvere altre questioni di diritto; in particolare, “una parte della giurisprudenza di merito era orientata – in presenza di una prova contraria resa dalla società assicuratrice rispetto a quanto risultava dal modello CID – a condannare al risarcimento il solo danneggiante e non l’assicuratore”.

Motivo per il quale la Cassazione del 2006  spiegava che il rapporto “non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare, con riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità dell’assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per l’altra”.

Di qui l’affermazione secondo cui il valore confessorio del modulo è atto liberamente apprezzabile dal giudice.

“La successiva giurisprudenza di questa Corte, d’altra parte, in più occasioni ha anche stabilito che ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio (v. le sentenze 25 giugno 2013, n. 15881, e 27 marzo 2019, n. 8451, nonché l’ordinanza 25 gennaio 2024, n. 2438)”.

Fatta questa doverosa premessa, la Corte procede a correggere la motivazione in punto di diritto elaborata dal tribunale di Roma che ha sicuramento travisato il suo insegnamento. Correggere la sentenza in diritto non significa però accogliere il ricorso, che di fatto viene rigettato.

Spiega ancora la Corte:

“L’incidente di cui si discute ha visto coinvolti tre veicoli, mentre il modello C.A.I. è stato sottoscritto solo da due di loro, ossia il P., autore del primo tamponamento, e la B. (p. 7 del ricorso), la vettura della quale aveva, a sua volta, tamponato la terza auto coinvolta, cioè quella condotta dal D.N. L’odierna ricorrente è la cessionaria del credito di quest’ultimo, cioè il secondo tamponato, che sarebbe stato urtato dalla vettura della B. a seguito dell’urto di questa con l’auto P. Ne consegue che l’odierna ricorrente, in effetti, non può far valere, nei confronti dell’assicuratore, alcuna C.A.I., posto che il creditore cedente (D.N.) non ha firmato alcunché (o, almeno, nessuno ha sostenuto il contrario). Ed è evidente che questo semplice rilievo fattuale toglie ogni fondamento al motivo di ricorso qui in esame, stante l’irrilevanza della complessa questione giuridica sulla quale ci si è soffermati”.

Così corretta la motivazione, il ricorso viene rigettato. Direi che si era notato dalla lettura del solo fatto, senza passare all’esame del diritto, che qualcosa nella narrazione del danneggiato non quadrava … 

© Annunziata Candida Fusco

Cass. 15431_2024

https://avvocatofusco.com/author/avvocatofusco

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