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La musica che gira intorno

Pochi giorni fa ho piacevolmente condiviso con un mio buon amico, un avvocato affermato, qualche ora di tempo, consumando insieme un frugale pranzetto in un localino nei pressi di casa mia a Roma.

Seppur raramente, vedo Giuseppe sempre molto volentieri. Dopo il saluto affettuoso, avvicinandoci al banco per scegliere cosa avremmo mangiato, con un’espressione di naturale meraviglia, simile (ma ovviamente molto più composta) a quella di un bambino alla vista dello zucchero filato colorato, posto sul tavolo delle leccornie del luna park, il mio amico mi indica col dito la persona che ci precedeva nella fila, un uomo alto, con la barba, robusto con un fisico da rugbysta. Non conoscendolo, chiedo chi fosse ricevendo da un bisbiglio flebile all’orecchio, un nome che in quel momento non avevo compreso. Rompendo gli induci gli tuzzolèa alle spalle e quando si gira, Giuseppe lo saluta dichiarandosi un suo affezionato e storico fan della prima ora, avendo partecipato a molti suoi concerti e anticipandogli che sarà presente al prossimo evento live in programma a breve al teatro Olimpico (sempre a Roma). Ne nasce una chiacchierata breve ma spontanea, come quando due persone che si conoscono, non si vedono da una vita e si rincontrano casualmente. Per evitare figure barbine, con garbo mi estraneo dalla chiacchiera, ma senza distacco. Dopo avere scelto le pietanze, ci sediamo ai rispettivi tavoli e cominciamo a mangiare. Chiedo chi fosse la persona e Giuseppe mi fa “E’ Marco Conidi, sai chi è?” Gli rispondo di no e proseguiamo il pranzo parlando di altre cose. All’atto di andare via, Conidi che era seduto qualche tavolo indietro al nostro, passa a salutarci e rivolto a Giuseppe “allora ti aspetto al teatro Olimpico” gli dice, ricevendo come risposta un “ci puoi contare!”. Indugiammo al tavolo ancora un po’ ma prima di salutarci chiesi a Giuseppe chi fosse Marco Conidi. “E’ un cantautore, ha anche partecipato ad un Sanremo nella sezione nuove proposte è molto bravo, sul web trovi buona parte della sua discografia, vattelo a sentire se vuoi” e mi racconta di quando, da poco trasferitosi a Roma, aveva avuto modo di ascoltare alcuni brani che gli erano rimasti impressi e che solo tempo dopo aveva scoperto fossero di Conidi. Ci salutiamo, torno a casa ed inizio, anche nei giorni a venire, a curiosare in rete ascoltando qualche canzone ed alcune interviste di Marco Conidi. I brani mi sono sembrati spontanei, autentici, in linea con l’idea genuina, non costruita, che ictu oculi mi ero fatto, i testi diretti e con un loro perché, la musica avulsa dalla ricerca di ritmi o ritornelli accattivanti. Insomma la musica che gira intorno a Marco Conidi avrebbe potuto dargli a mio avviso la ribalta dei riflettori ed una celebrità più marcata che il destino, complice anche la sua volontà, gli ha solo parzialmente riservato. Giusto per dare un’idea del personaggio, in una intervista datata di molti anni fa Conidi aveva dichiarato: “scrivere canzoni è il mio lavoro ed io spero sempre di poter scrivere una canzone, che possano cantare milioni di persone, però cerco di farlo a modo mio senza pensare ad un certo tipo di canzone per far contento il mercato, ma bensì andare incontro alle persone che ascoltano la musica cercando di mantenere sempre quelle che sono le mie caratteristiche. Ad esempio se dopo i primi tre album, avessi continuato sulla stessa strada di “Cè è in giro un’altra razza” il mio terzo album penso, avrei potuto sbancare il mercato della pop music… ma non sarei più stato me stesso, ed avrei rischiato di essere meno felice, perchè non sarebbe stato quello che veramente desideravo di fare.” Cedendo alla suggestione fornitami da un brano di Ivano Fossati, mi viene da dire che Marco Conidi è uno che ha tenuto i suoi anni al guinzaglio ma che potrebbe ancora fermarsi ad ogni lampione. Oggi continua a comporre e accompagnato dalla sua Orchestraccia, tiene concerti che riscuotono un apprezzabile seguito da parte di un pubblico di aficionados; vive di musica e di cinema prestando il suo faccione a film e varie serie TV. La sera stessa in cui avevo incontrato a pranzo il mio amico avvocato, vedo in televisione i “bootcamp” di un famosissimo talent show. Giovani audaci colmi di speranza e aspettative, davano sfoggio di abilità canore e musicali cercando di convincere, nel paio di minuti a loro disposizione, una giuria di addetti ai lavori a concedergli un ticket per il successo. Mi è parso di cogliere nelle esibizioni di molti, troppi di loro una certa omologazione, quasi che le note riportate sul pentagramma, la melodia, l’armonia, il canto, girassero molto meno intono alla musica rispetto a look eccentrici, dress code stravaganti, talvolta forse improponibili, strofe o “barre” cariche di ansie e malessere, suoni freddi creati ed arrangiati da un computer. Mi è tornato alla mente Marco Conidi al suo essere un musicista senza sponsor, senza il supporto della TV, con una storia alle spalle e senza fronzoli ed ho pensato che alla musica che gira intorno manchi l’arcobaleno, specchio o figlia forse di questo tempo grigio e deprimente; “con il colore si può cancellare il più avvilente e desolante squallore” dice un raffinatissimo brano composto da Mogol e G. Bella. Non è un critica, l’arte, le tendenze, i gusti, mutano, si evolvono, segnano il tempo e va benissimo così!! Nessuna vena nostalgica, solo riflessioni, peraltro trascurabili, di un boomer tendente all’anziano ma non ancora rincoglionito….. almeno spero!

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