“Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”. Questa poesia di Cristina Torres Cáceres è divenuta virale dopo la morte di Giulia Cecchiettin per mano del suo ex fidanzato, Filippo Turetta. La scomparsa della ragazza ha tenuto tutti con il fiato sospeso, tra speranza e tacita rassegnazione, fino alla notizia della sua tragica fine. Ad un anno dall’omicidio, tuttavia, Giulia non è stata l’ultima. In Italia, altre 100 donne hanno perso la vita per mano di un uomo. Molto spesso si tratta di un familiare, un partner o un ex che non accetta la fine della relazione. A volte è “un bravo ragazzo”, un insospettabile per chi lo conosce. Altre è una persona violenta, un manipolatore, un uomo che nel privato della propria relazione mortifica, mente, aggredisce, picchia, urla, spintona, perseguita o umilia.
La violenza contro le donne è fatta di sangue, lividi, coltellate e spari, ma anche di messaggi e telefonate continui, appostamenti sotto casa o sul posto di lavoro, molestie verbali e fisiche, stupri, ricatti, schiaffi, alienazione da amici e famiglia, insulti, dipendenza affettiva ed economica, sfruttamento sessuale, mutilazioni genitali, matrimoni forzati, negazione di diritti e riduzione al silenzio. E’ un fenomeno trasversale, non conosce età, geografia, opinione politica o ceto sociale.
25 novembre
Il 25 novembre si celebra la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ufficializzata dalle Nazioni Unite nel 1999, con la risoluzione 54/134.
La scelta della data non è casuale. Il 25 novembre del 1960 tre sorelle, Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, vennero brutalmente torturate e uccise. Le mariposas – come erano conosciute – erano tre attiviste impegnate nella denuncia degli orrori dalla dittatura degli anni 40-50′ nella Repubblica Dominicana. I loro corpi furono gettati in un dirupo per simulare un incidente a cui nessuno credette. Lo sgomento e la rabbia per quella barbara uccisione valicarono i confini nazionali, richiamando l’attenzione della comunità internazionale non solo sul regime di Trujillo ma anche – e soprattutto – sulla cultura che schiaccia le donne che rivendicano uno spazio pubblico e politico. La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne segna l’inizio dei 16 giorni di attivismo sulla violenza di genere, prima della giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre.
Sensibilizzare l’opinione pubblica, prevenire, difendere
I numeri delle violenze non accennano a diminuire. Gli spazi e le occasioni di confronto, informazione e sensibilizzazione sono di primaria importanza, anche se non sufficienti, per educare adulti e giovani a un’affettività sana e rispettosa. Ogni anno, in questa occasione si organizzano eventi e manifestazioni per sottolineare l’importanza e l’urgenza del tema della violenza di genere. Uno dei più noti è l’appuntamento del movimento Non una di meno, che scenderà in piazza in diverse città italiane.
Tuttavia, non basta. Denunciare è fondamentale. Ricordiamo che il numero d’emergenza 1522 è sempre attivo. Occorre supportare le vittime, informarle sulla possibilità di rivolgersi non solo alle autorità, ma anche a centri antiviolenza. Aiutare i giovani a confrontarsi con rispetto reciproco, tollerare i rifiuti, gestire le emozioni negative. Individuare, non incentivare e contrastare gli stereotipi. Ampliare e fortificare la rete di tutela prima e dopo le violenze, con strumenti adatti e tempestivi per le vittime e pene giuste per gli abusanti.
Panchine e scarpe rosse, simbolo della violenza contro le donne
Scarpe e panchine rosse sono il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Nel 2009, l’artista messicana Elina Chauvet posizionò 33 paia di scarpe rosse in piazza, in memoria della sorella ventenne assassinata dal marito e di tante altre donne vittime di violenza. Da allora, il rosso è diventato il colore della lotta alla violenza di genere. Anche le panchine, dello stesso colore, sono un monito, uno spazio in cui fermarsi a riflettere sulla violenza domestica.