La lingua costituisce un elemento vivo e dinamico, capace di adattarsi e reinventarsi in base al periodo storico e alle mode della società di cui è espressione. Negli ultimi anni, sempre più spesso e con maggior intensità, i movimenti femministi e la comunità LGBTQ+ chiedono a gran voce che la lingua sia maggiormente inclusiva e che rappresenti in maniera adeguata tutti. Si al pronome neutro, dunque? Forse. Basta, sicuramente, a parole solo al maschile o ad altre che ingabbiano un genere definito, che non comprendono le sfumature di individui fluidi, che non si riconoscono nel proprio sesso biologico o che non si riconoscono affatto in un genere.
La necessità di non declinare necessariamente una parola al maschile o al femminile ha portato in molti a richiedere l’utilizzo di pronomi e sostantivi neutri. In una prima fase, si è sperimentato l’inserimento degli asterischi (*), per rendere le parole adattabili sia al maschile che al femminile. Di recente, si è passati allo schwa (ə). Questo, però, sembra non bastare.
Mentre per alcune lingue non si pone alcun problema – come per l’inglese in cui non esistono desinenze – per altre, come l’italiano o il norvegese, la questione è più complessa. Nell’italiano, come già detto, si è ovviato con asterischi e schwa. Per il norvegese, invece, si prepara una piccola grande rivoluzione: il pronome neutro. Sembra, infatti, che i linguisti stiano valutando l’introduzione del pronome neutro nel vocabolario norvegese. A quanto pare, si usa sempre più spesso “hen” al posto di “han” (maschile) e “hun” (femminile). Questa integrazione potrebbe avvenire già entro l’anno.
Il tempo e l’utilizzo di nuovi termini plasmeranno la lingua, introducendo, modificando ed eliminando vocaboli e strutture. Se l’esigenza della società è quella di fluidità – anche linguistica – non si potrà che assistente all’avvento di forme nuove e più inclusive. In questo modo, tutti potranno sentirsi rappresentati e rappresentare se stessi, senza limiti morfologici e sintattici.