Se siamo alla ricerca di noi stessi, di un vitale rallentamento, della semplicità che insegna a vivere, raggiungiamo i piccoli borghi disseminati in ogni dove nella nostra bella Italia: quelle stradine strette di vecchi sassi che si insinuano tra le case abbarbicate sulle colline, i balconi minuscoli ma sempre fioriti a macchiare di colore tutto quel nocciola attorno.
Presepi tutto l’anno, che hanno resistito al tempo, che celano profumo di camino, culle di cibi genuini e vino buono, nascosti così bene che quando ti appaiono all’improvviso dopo una curva, rallenti stupita e non puoi fare a meno di andarci, modificando la tua rotta.
Tra le mura che spesso li circondano, vedi nascere in piccole crepe piante rigogliose, rampicanti che si moltiplicano a dispetto della totale assenza di terra e di cure, o cascate di verde che resistono a gelate invernali, all’arsura estiva, a venti e piogge, quasi a voler dimostrare che basta la voglia di vivere per farcela sempre e comunque. E i portoni, così logori e forti, così segnati nel legno scuro, custodi di segreti celati all’interno di ogni casa. Si incontrano sempre gatti, tra le viuzze dei borghi profumati di pane appena sfornato: placidi, mai denutriti, schivi ma curiosi, sonnecchiano sui selciati o sulle soglie, di certo non turbati dal traffico.
Come si passa il tempo, in questi luoghi dove il tempo si ferma? Una briscola al bar, due chiacchiere con i vicini, una cena tra amici davanti al camino di uno o dell’altro, forse.
Noi, che siamo sempre di fretta, che corriamo perennemente all’inseguimento di questo e quello, dovremmo saltuariamente trascorrere almeno un mese, in una di queste case dai muri robusti, a godere del silenzio interrotto dallo scrosciare della pioggia, a rabbrividire per i rigidi inverni, ad ascoltare i pensieri che di solito si scacciano, o ad annusare l’aria frizzante del mattino, magari sulla porta del panettiere, o della signora che vende le sue torte in bottega. E finalmente via quel senso di isolamento che si avverte prepotente in città sovraffollate.
“Quando arrivi in un paese – scrive Franco Arminio – devi sederti da qualche parte e stare zitto. Nessuna foga di parlare. Aspettare che il silenzio ti porti qualche dono. Se hai fretta, in un paese non avrai fortuna”.