Nessun timore, nulla a che vedere con la politica e le riforme. Il titolo è un pretesto, una suggestione o se volete un trucco per creare o tentare una corrispondenza, tra l’improbabile e il verosimile, con il tifo e conseguentemente col tifoso.
Si perché, nelle more che la politica decida (forse) il da farsi sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (articolo 116, terzo comma, Costituzione), sembra che il tifoso del Napoli, una sorta di “autonomia differenziata” la stia già attuando.
Da frequentatore assiduo del Maradona e da appassionato supporter del Napoli, nonché spettatore attento, non posso fare a meno di notare come il tifo sia, nel nostro stadio, in casa, un’entità autonoma, indipendente quasi avulsa da una forma che possa definirsi organizzata.
L’impressione è che in trasferta più che in casa, il tifo sia un’espressione più disinvolta, più conforme, riuscendo effettivamente a incidere e diventare il dodicesimo uomo in campo. Questa massa informe, enorme, festosa, chiassosa, pittoresca, contagiosa, pacifica, irriducibile, orgogliosa di “oriundi” e residenti altrove, che pacificamente invade gli impianti di La Spezia, Sassuolo, Francoforte, Empoli (solo per citare gli ultimi), addirittura sovrastando in decibel i tifosi locali, ha la forza di allargare i confini territoriali, di trasformare lo stadio ospitante in una foresteria del Maradona.
Rullate di tamburi, bandiere sventolanti, coreografie coinvolgenti al Maradona se ne vedono decisamente meno, anche rispetto ad altri stadi.
Introdurre i LEP (livelli essenziali delle prestazioni) anche nel tifo, così come per l’autonomia differenziata? Appare fuori luogo; come si fa ad uniformare il tifo a standardizzare una passione? Facciamo in modo allora che il tifo a casa nostra resti diverso, non differenziato; che la passione civilmente vibri, sussulti, sospinga in uno spazio che si chiama stadio e non su un divano da salotto.