E’ forse la suggestiva e naturale scenografia che i luoghi, gli scorci, i paesaggi offrono alla vista sollecitando l’ispirazione, l’innata attitudine all’inventiva, all’arte popolare di arrangiarsi, di superare l’(ordinaria) emergenza improvvisando, senza l’ausilio di un “copione”, la maestrìa della gente a compendiare dramma, farsa e tragedia, a rappresentare finzione e realtà rendendo l’una funzione dell’altra, al punto che l’osservatore anche attento riesce talvolta a fatica a decifrare, se ciò a cui sta assistendo sia una recita o una cosa seria;
o forse è per la mistificazione tra sacro e profano, il rapporto ambiguo tra fede e scaramanzia, ragione e mistero, il feeling tutto particolare che le persone hanno con la speranza per evitare che si trasformi in agonia, o più semplicemente l’ancestrale influenza della Magna Grecia, di cui Neapolis fu città assai importante e dove pare ebbe origine il teatro.
Forse è per tutto questo che “Napoli è un palcoscenico, un teatro a cielo aperto”, quante volte l’abbiamo sentito dire?! Di sicuro il teatro è tra le più antiche, nobili, rappresentative e conosciute forme d’arte della nostra città. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, Scarpetta, Viviani, i fratelli De Filippo, Pupella Maggio, Totò, Nino Taranto, i generi della macchietta(con Vittorio Marsiglia), della sceneggiata (con Mario Merola), Troisi, la Smorfia, Casagrande, Laurito, Salemme, Siani, Izzo, Paolantoni, hanno dato lustro ad una tradizione che ha riscosso consensi anche internazionali ed ha contribuito allo sviluppo di tutto il teatro italiano.
Questa tradizione, sulla scia dei grandi personaggi ed interpreti che l’hanno resa famosa, si rinnova ancora oggi in una forma nuova e diversa, dando vita ad una originale raffigurazione messa in scena da una “nuova compagnia”.
Già perché a vedere giocare il Napoli da qualche tempo a questa parte, si ha la sensazione di non assistere solo ad un’ esibizione sportiva, ma alla rappresentazione scenica di un’ opera dai risvolti artistici che spesso per gli avversari e i detrattori assurge a tragedia.
E come ogni forma di teatro che si rispetti questa “nuova compagnia” ha il suo eroe popolare, la sua maschera già divenuta simbolo che manco a dirlo è quella di Osi nostro. Come ogni rappresentazione scenica che si rispetti lo spettacolo che il Napoli offre provoca tra i tifosi passione, partecipazione, concitazione, in una parola pathos.
La città vive un’ attesa spasmodica e vibrante fatta di preparativi, di festa svelata e al tempo stesso repressa. Muore dalla voglia di raccontare l’epilogo della commedia che intimamente avverte a lieto fine ma che non può spoilerare. Il tempo è galantuomo si dice perché sa sempre quando è il momento giusto.
Ma il tempo ha la sua logica che non è fatta solo di attesa e l’attesa ha la sua ragione che non è fatta solo di tempo. L’attesa è una condizione, uno stato dell’anima, talvolta un fatto statistico, se resta solo tempo diventa ansia, sofferenza; è il viaggio che conduce alla meta, è la battuta prevista dal copione che induce alla risata. Il tempo dice che il momento è propizio ma non è ancora arrivato, che il traguardo è vicino ma non ancora raggiunto, che la battuta è matura ma occorre ancora qualche scena per poterla recitare.
Il tempo dice che finirà l’attesa e quando sarà, saremo tutti in piedi a battere i tacchi, a spellarci le mani e … a chiedere il bis!