Vasta eco hanno avuto le dichiarazioni rilasciate dal Presidente della SSC Napoli in occasione della manifestazione per l’assegnazione del Premio Bearzot tenutasi lo scorso 24 marzo al Maschio Angioino.
Il prestigioso premio è stato conferito all’unanimità a Mister Spalletti che, parole del Presidente, resterà a Napoli anche la prossima stagione (e meno male!).
Che le affermazioni del Presidente facciano notizia non è più una notizia oramai: la non comune esuberanza, la poderosa forma espressiva, la dialettica spavalda e colorita, il porsi sovente come “anti sistema”, l’agio a muoversi sopra le righe, la determinazione, la portata delle informazioni rilasciate, costituiscono un piatto ricco per gli addetti ai lavori ed un efficace mezzo per catalizzare su di sé l’attenzione mediatica.
Qualcuno, non esattamente imparziale ma dichiaratamente di parte (e, si perdoni il gioco di parole, tutt’altro che parte-nopeo), dal quale qui, è bene premetterlo, assolutamente ci si dissocia ed oppone, ha chiosato l’intervento del Presidente come un’ uscita da “ganassa”, termine non proprio edificante, piuttosto desueto dalle parti nostre, il cui significato appare alquanto intuibile (qui si sarebbe probabilmente detto “smargiasso”).
E’ ovvio che un Napoli sorprendentemente coraggioso e bello, quasi seducente, frutto peraltro di una gestione economica sana, susciti qualche invidiuccia. Questo Napoli è come il cinema tanto caro al suo Presidente (o forse è più come il teatro napoletano), diverte e fa pensare allo stesso tempo, proponendo perciò alcune riflessioni; la prima che si pone: è tutt’oro quello che luccica ? Sì, è la risposta! Il Napoli non brilla affatto di luce riflessa ma di luce propria, è uno spettacolo, merita, vince e convince; forse (e nemmeno tanto forse) non è mai stato così forte! E’ questa una squadra che ha voglia di imporsi, che non si accontenta semplicemente di vincere e vincere non è l’unica cosa che conta (questo “privilegio” lo si lascia ad altri, intelligenti pauca!).
L’ulteriore punto di domanda è: i titoli, le vittorie, bastano da sole ad attribuire ragione, ad approvare incondizionatamente l’operato della Società? La risposta stavolta è no. L’attitudine alla misura oltre che a misurarsi, la predisposizione a condividere senza per forza disunire, a riconoscere meriti (e non solo demeriti) altrui, a non essere spesso e volentieri concentrati su se stessi, a ritenere in torto chi la pensa diversamente o ha una propria visione, (magari più popolare che aristocratica), delle cose del pallone, a non confondere gestione con impresa, a dire quali sono i criteri che qualificano un tifoso “serio o criminoso”, contribuisce secondo chi scrive a creare armonia, agevolare il confronto, ad arginare divisioni, a generare comprensione, ad essere percepito più che ascoltato, a lasciare un segno indelebile più che un dato statistico alla memoria.
E’ bene precisare che qui non si ha la presunzione, men che mai la pretesa né di criticare né di dare suggerimenti a chicchessia, non se ne è capaci, non se ne ha l’esperienza né le competenze. Si vuole solo dissotterrare qualche sparso e libero pensiero che l’euforia del momento porta (rischiosamente forse) a sottacere; perché lo si ripete, il Napoli che meritatamente vince e diverte fa anche pensare e lascia spazio a qualche altra domanda: perché persiste tuttora astio verso la Società e il suo Presidente e com’è possibile che questa ostilità offuschi la bellezza di questa squadra, del suo gioco e delle sue vittorie?
I tifosi (non i violenti o quelli che stendono anonimi striscioni minacciosi), anche quelli incazzati però e non perché vessati dalla moglie o dal marito, sono “Lazzari Felici” (capolavoro “popolano” di Pino), come dice la canzone è “gente ca nun trova chiù pace” (quando il Napoli perde) “sempe pronta a se vuttà pe’ nun perdere ll’addore”.
Chi scrive crede che il segreto stia tutto lì, evitare che la gente perda ll’addore, ossia quel senso di identità, di appartenenza, di partecipazione (che non fa “proprietà”) che da sempre contraddistingue il tifo a Napoli.
Ll’addore annuncia spesso in anticipo se una cosa è buona o cattiva, senza che la si debba per forza vedere o assaggiare; è profumo se si vince, tanfo se si perde o peggio se si vuole impedire di odorare; il resto al tifoso non gli compete e neanche gli interessa. Mantenere vivo l’addore (come sta facendo più di tutti il Mister) può essere la via per porre fine all’assurdo livore a cui oggi ancora si assiste.
Da ultimo per chiudere: la Società ha avuto l’indiscusso merito di creare un meccanismo che produce introiti e vittorie, ora che vi è riuscita pensa davvero di vendere i pezzi più pregiati ? Un vecchio adagio dice che “senza denari nun se cantano messe”, non pensa proprio la Società di aprire ad altri investitori che possano agevolare l’avvio di un ciclo vincente ?
Lo scopriremo solo vivendo cantava Qualcuno.