Papà che mi prende la mano, il tram, le strade caotiche per arrivare alla meta, nel tempio del sole e al settore dei distinti dove li puoi toccare e puoi ammirare il capitano poderoso con i capelli neri e la pelle olivastra.
Un gigante con la maglia azzurra, e la domanda che a sette anni non temevo di fare perchè conoscevo già la risposta: gioca con noi Iuliano? Mi piaceva sentirmelo dire, mi piaceva sentire il numero otto esaltare l’appartenenza, la sensazione a cui non riuscivo di dare un nome e che solo più avanti negli anni ho concretato.
L’immagine del “Napule” che andava a giocare a San Siro come l’emigrante da sacrificare all’altare della storia meneghina ricca di trofei era lui, Totonno; l’autore del tiro che a Torino, contro la Juventus, portò Partenope ad un passo dal sogno infranto da “core n’grato” Altafini fu lui, l’eroe di San Giovanni a Teduccio che aveva giocato con Zoff, Sivori e Canè.
Era lui che in nazionale doveva competere con De Sisti, Mazzola e Rivera in una gara tutta teorica e zero pratica ed era lui che si beccava le lamentele dagli spalti perchè lui era il Napoli.
Grande giocatore Totonno, per 17 anni bandiera napoletana e non ci si può credere a pensare che il suo capolavoro lo ha fatto da dirigente, partecipando alla lotta estenuante per portare D10S nella sua città e catapultare il “Napule in una nuova dimensione; ogni grande uomo lascia un’eredità e solo loro hanno il coraggio di scendere dal carro che sta per portare a spasso i vincitori. Si chiuse la porta alle spalle dopo il primo anno di Diego per dissapori con Ferlaino.
Alcuni anni fa, forse sei o sette, con la mia auto transitavo a Posillipo insieme a mia moglie quando ad un tratto scorgo camminare una sagoma stranamente familiare; era lui che passeggiava con passo sostenuto lungo la via nobile. Era cento volte più affascinante di come appariva in tv.
Avrei voluto fermarmi, parlargli e spiegargli che io lo avevo sempre amato perché lui ha sempre amato il Napoli; più di tutti.