Perché i nostri bimbi non ci raccontano più le loro esperienze?
Mamma – lo sai – oggi a scuola ho fatto un disegno bellissimo.
Papà oggi il mister mi ha lasciato tutto il tempo in panchina.
Nonna sabato scorso c’è stata una festa in parrocchia ed abbiamo mangiato tante cose buonissime.
Frasi che, negli ultimi tempi, raramente sentiamo dai nostri figli.
Scene che appartengono più ai ricordi della nostra infanzia che al vivere quotidiano.
Concentriamoci per un attimo e proviamo a pensare, invece, a cosa succede negli ultimi tempi.
Il bimbo, all’uscita della scuola, corre verso la mamma che lo aspetta a braccia aperte e lo accoglie dicendogli:-“Che bel disegno che hai fatto! Che colori vivi, che particolari perfetti!” Oppure: “Oggi avete disegnato la primavera, perché i tuoi alberi avevano le foglie marroni?”
Così la nonna: “Ciao piccola, avete fatto una festa in parrocchia? Potevi dirmelo, ti avrei preparato una bella crostata!”
Oppure il papà: “Il tuo mister è proprio un…. Non ti ha lasciato giocare nemmeno un minuto” O ancora peggio, l’incontro tra padre e figlio si svolge e conclude nell’assoluto silenzio, la delusione del papà non lascia spazio a margini di dialogo sulla questione dell’allenamento.
Avete mai vissuto voi queste scene? Ci avete mai pensato a quello che succede – a causa degli smartphone- nell’infanzia delle giovani generazioni rispetto alle nostre?
I gruppi, le foto, le chat. Siamo continuamente sotto controllo. C’è sempre qualcuno che immortala i nostri momenti e li diffonde. Così succede anche ai nostri figli.
Sono a scuola, fanno un lavoro, un progetto. La maestra fiera fotografa e posta al gruppo delle mamme.
E così via.. Solo per riprendere gli esempi citati, agli allenamenti i genitori, i ragazzi, il mister fotografano, commentano, postano.. E così in avviene continuamente. All’oratorio, al campo scuola, alla visita guidata.
E noi genitori dall’altra parte della barricata ad osservare in tempo reale quello che succede. A gioire lontani dallo sguardo dei nostri figli, a commentare, a restare delusi, soli e lontani dai veri protagonisti.
Così il momento dell’incontro e del ritrovamento fisico diventa spesso un momento spento, l’entusiasmo è sostituito dalla consapevolezza dell’episodio già noto, la frustrazione della delusione viene attutita dagli atteggiamenti già preparati alla consolazione, al conforto o al rimprovero e la parola, il dialogo perdono il momento magico della sorpresa, la funzione terapeutica dello sfogo o, e perché no, quella fantastica e fantasiosa dell’invenzione e della bugia.
Gli smartphone che, tanto ci hanno regalato, ci hanno rubato il racconto.
Cosa possiamo fare?
Indietro non si torna. Anzi si va avanti e la direzione quella è.
Però potremmo prendere consapevolezza di tutto ciò che stiamo perdendo, o ci stanno rubando, ed inaugurare un uso intelligente degli strumenti.
Intelligente sta per ausilio, supporto. Lo strumento sia solo lo strumento. Le emozioni teniamocele care perché quello, checché se ne dica, una macchina non potrà mai darcele. E non permettiamo di rubarcele.
Qualche volta spegniamolo il cellulare. Evitiamo di consultare, sbirciare, commentare.
Regaliamoci il gusto della sorpresa, dell’ignoto, dello stupore e della delusione.
E soprattutto non smettiamo mai di parlare.