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Il cinghiale nel giardino … chi paga per i danni da fauna selvatica?

Il caso preso in esame dall’ordinanza della Cassazione riguarda l’insolita vicenda di una donna che, all’interno del giardino di una abitazione privata, veniva aggredita da un cinghiale selvatico che, provenendo da una vicina zona boschiva, l’aveva ferita alla gamba sinistra.

La donna, pertanto, citava in giudizio sia la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia sia la Provincia di Trieste, chiedendo che entrambe fossero condannate al risarcimento de danni subiti ex art. 2043 cc.

La Regione, nel costituirsi, si dichiarava estranea ai fatti, sostenendo di aver correttamente posto in essere gli strumenti di tutela previsti dalla legge per limitare la riproduzione dei cinghiali; riteneva inoltre la sussistenza di un concorso in colpa della danneggiata “per non aver allestito alcuna recinzione a protezione del fondo”. Anche la Provincia di Trieste sosteneva la sua assoluta estraneità ai fatti in quanto la signora, “pur essendo a conoscenza del pericolo derivante dalla vicinanza di un’ampia zona boschiva, non aveva installato alcuna protezione a tutela dell’abitazione”.

Il giudice di primo grado dichiarava la responsabilità della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia per l’aggressione del cinghiale e la condannava a corrispondere alla signora l’importo di euro 37.296,49 a titolo di risarcimento del danno oltre interessi. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la Regione FVG.

La Corte d’Appello di Trieste rigettava l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado. Contro tale sentenza la Regione ricorreva in Cassazione.

Con il primo motivo la Regione riteneva che la Corte d’Appello non avesse valutato attentamente l’onere della prova ai sensi dell’art. 2043 cc in quanto aveva considerato l’ente responsabile “per il solo fatto della asserita verificazione del danno e della mera allegazione della presenza in Regione di un numero eccessivo di esemplari di cinghiali”. Trattandosi di responsabilità ex art. 2043 cc, è a carico del danneggiato la prova dell‘individuazione del pericolo concreto, del nesso causale e della colpa. Sbrigativamente il giudice di seconde cure aveva ritenuto responsabile la Regione per il solo fatto che la danneggiata aveva dichiarato che vi fosse un numero eccessivo di cinghiali cui non era stato posto alcun rimedio: erroneamente, quindi,  secondo la Corte d’Appello, la Regione era stata condannata per aver “omesso di adottare misure idonee ad arginare il progressivo e ingravescente pericolo, più volte segnalato negli articoli di cronaca locale, dell’avvicinarsi dei cinghiali alle abitazioni poste in prossimità delle zone boschive, in tal modo sottovalutando, nell’ambito della propria attività di indirizzo e pianificazione, il problema della proliferazione della specie e del conseguente bisogno di procurarsi il cibo”.

Aggiungeva la Regione che la Corte d’Appello aveva ritenuto irrilevante l’eventuale concorso colposo della donna, essendo stato provato nel corso del giudizio che il giardino della sua abitazione non era sufficientemente recintato (cosa che aveva consentito all’animale selvatico di introdursi nel giardino mente la completa recinzione ne avrebbe impedito l’accesso e il danno).

La Corte dichiarava i motivi infondati.

Precisa la Corte che in caso di danni cagionati da fauna selvatica trova applicazione il principio della presunzione della responsabilità ex art. 2052 cc. Questa norma, spiega, si applica non soltanto in caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.

Ne deriva quanto agli oneri probatori, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2053 cc, che il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico (quindi deve dimostrare la dinamica del sinistro e il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso, oltre che l’appartenenza dell’animale ad una specie oggetto della tutela ex l. 157/92).

Tuttavia è indubbia facoltà del danneggiato agire in giudizio ex art. 2043 cc, facendosi carico del maggior onere probatorio di questa norma.

Nel caso che ci occupa, la danneggiata ha agito ex art. 2043 cc.

La Corte d’Appello, sulla base delle dichiarazioni rese dai rappresentanti degli enti pubblici locali e dalla associazioni private nonché dei dati relativi al censimento dei cinghiali, ha ritenuto correttamente provata la responsabilità della Regione “per aver omesso di adottare misure idonee ad arginare il progressivo i ingravescente pericolo, più volte segnalato negli articoli di cronaca locale, dell’avvicinarsi dei cinghiali alle abitazioni poste in prossimità delle zone boschive, in tal modo sottovalutando, nell’ambito della propria attività di indirizzo e pianificazione, il problema della proliferazione della specie e del conseguente crescente bisogno di procurarsi il cibo”.

Giusto per esattezza, la Corte fa presente che, contrariamente a quanto assunto dalla Regione, la danneggiata aveva dimostrato che il fatto era accaduto in giardino di abitazione non di sua proprietà, come invece aveva più volte ripetuto l’Ente.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Regione al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

Cassazione-civile-ordinanza-14555-2024

© Annunziata Candida Fusco

https://avvocatofusco.com/author/avvocatofusco

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