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Napoli si ribella alle Baby Gang: la campagna di sensibilizzazione

Piombo e sangue tra i giovani partenopei

Nella città partenopea esplode il fenomeno delle Baby Gang, con omicidi e violenza che coinvolgono ragazzi sempre più giovani, in possesso di armi, pronti a trasformare le strade in un Far West. La campagna di sensibilizzazione del Comune di Napoli affronta una realtà che sembra sfuggire al controllo delle istituzioni.

Il Fenomeno delle Baby Gang a Napoli

Negli ultimi anni, Napoli sta vivendo un’escalation preoccupante di violenza giovanile. Il fenomeno delle baby gang, che ha cominciato a manifestarsi con insistenza nei quartieri periferici e nelle zone più marginali della città, si è ora esteso a tutte le aree della metropoli partenopea, con i suoi effetti devastanti anche nei comuni della provincia. I protagonisti di questi episodi non sono adulti, ma ragazzi giovanissimi, talvolta di soli 13 o 14 anni, armati fino ai denti e pronti a fare delle strade un vero e proprio Far West. Spesso, dietro le loro azioni violente, si celano vendette, rivalità tra bande, o semplicemente il desiderio di farsi rispettare in un contesto che sembra negare ogni altra opportunità.

Non si tratta più solo di bande di giovani teppisti che commettono piccoli crimini, ma di un fenomeno strutturato che si serve di armi da fuoco, coltelli e altri strumenti per uccidere. I ragazzi che fanno parte di queste gang sono troppo giovani per rendersi conto della gravità delle loro azioni, ma troppo armati per essere fermati facilmente. Le bande, composte da adolescenti che non hanno ancora concluso il ciclo scolastico, sono spesso in lotta tra loro per il controllo di un territorio, ma anche per una posizione di potere che si conquista con il sangue.

Due settimane di sangue a Napoli

La cronaca recente di Napoli ci ha restituito un quadro agghiacciante. In appena due settimane, la città è stata scossa da tre omicidi che hanno messo in luce la crescente violenza tra i giovanissimi, con un crescendo di tensione che sembra non volersi fermare. Tre morti in due settimane, tutti giovanissimi, tutti caduti per mano di altri ragazzi della loro stessa età. Questi episodi sono emblematici di una spirale di violenza che ormai sembra fuori controllo.

Il primo omicidio è avvenuto la notte tra il 23 e il 24 ottobre, quando Emanuele Tufano, un 15enne del rione Sanità, è stato ucciso con un colpo di pistola alla schiena. Il contesto, emerso dalle indagini, ha svelato che il ragazzo sarebbe stato coinvolto in una “guerra tra paranze”, gruppi di ragazzi che, in sella a scooter, si contendono il controllo di una determinata zona. La vittima avrebbe sconfinato nel territorio di un altro gruppo rivale, e per questo motivo è stato ucciso, mentre tentava di fuggire.

Il secondo omicidio è avvenuto il 9 novembre con la morte di Arcangelo Correra, anch’egli giovanissimo. La causa del suo decesso è un tragico incidente durante un gioco che, per motivi ancora poco chiari, è sfociato in un’aggressione fatale. Ma forse l’omicidio più emblematico, non solo per la sua crudeltà, ma anche per la rapidità con cui è stato risolto dalle forze dell’ordine, è quello di Santo Romano, 19 anni, ucciso il 2 novembre a San Sebastiano al Vesuvio, a causa di una lite per una scarpa calpestata. Il ragazzo è stato raggiunto da un proiettile al petto, mentre il suo assassino, un 17enne, ha subito confessato il crimine, dichiarando di aver agito per difesa personale. La rapidità con cui la polizia ha fermato il giovane responsabile, che ha anche abbandonato l’arma in strada, ha messo in luce la tragicità della situazione: ragazzi così giovani, disposti a uccidere per motivi futili.

Tre omicidi, tre giovani vittime, che ci restituiscono un’immagine sconvolgente della gioventù napoletana, immergendo la città in una cappa di morte e paura. Ma dietro queste tragedie si nasconde una realtà più ampia, fatta di disagi sociali, famiglie fragili, istituzioni incapaci di dare risposte adeguate e una cultura della strada che sembra sempre più diffusa.

La mente dietro la violenza: un circolo vizioso che coinvolge tutti

Le cause del fenomeno delle baby gang a Napoli sono radicate in una molteplicità di fattori che riguardano sia la società che la cultura. La povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale, ma anche una cultura della violenza alimentata da film, serie TV e persino videogiochi, creano un terreno fertile per lo sviluppo di bande giovanili.

In molti casi, questi ragazzi non trovano nei loro quartieri alternative alla violenza, non hanno esempi positivi da seguire e vivono in contesti familiari disagiati, dove la presenza di figure adulte positive è debole o assente. Le famiglie, spesso incapaci di offrire ai propri figli un’educazione basata su valori di rispetto, di legalità e di solidarietà, contribuiscono a questa spirale di violenza. In alcuni casi, l’assenza di un padre o di una madre impegnati, la presenza di modelli familiari disfunzionali e l’assenza di regole certe alimentano il senso di frustrazione e di rabbia nei giovani, che cercano conforto e identità all’interno di gruppi dove la violenza e la criminalità sono la norma. Anche la scuola, che dovrebbe essere un luogo di formazione e di inclusione, non sempre riesce a contrastare questi fenomeni. In molte scuole napoletane, così come in altre aree ad alto rischio, i professori si trovano di fronte a classi difficili, composte da ragazzi che hanno già vissuto esperienze di violenza o che sono troppo disinteressati al futuro per poter comprendere l’importanza di un’educazione scolastica. In molti casi, i docenti stessi non hanno gli strumenti per affrontare queste problematiche, o si sentono impotenti di fronte all’aggressività degli studenti.

Anche la cultura popolare ha un peso in questo fenomeno. Film e serie TV come Gomorra, Mare Fuori, La Casa de Papel, Vis a Vis, contribuiscono a creare un’immagine distorta della vita criminale, facendo sembrare la violenza e l’illegalità una via per affermarsi, per ottenere rispetto. Queste produzioni, pur trattando temi di denuncia sociale, spesso esaltano l’aspetto romantico della criminalità, dando una visione idealizzata della vita in strada. Seppur con intenti educativi, queste opere finiscono per alimentare una cultura della violenza che diventa troppo spesso un modello per i più giovani.

Il ruolo delle Istituzioni e la campagna di sensibilizzazione

A fronte di questa emergenza, il Comune di Napoli ha deciso di intraprendere una campagna di sensibilizzazione per cercare di fermare questa spirale di violenza. La campagna, intitolata “Baby Gang, SOS, Napoli Armata Piange i Suoi Figli. Basta!!”, ha l’obiettivo di sensibilizzare i giovani e le famiglie sui pericoli legati alle gang e alla violenza. Si cerca di offrire una via di uscita a quei ragazzi che si trovano intrappolati in queste realtà, mostrando loro che esistono alternative concrete e positive, fuori dalla strada e dalla criminalità. Ma le istituzioni locali non possono fare tutto da sole. Serve un’azione congiunta che coinvolga scuole, famiglie, forze dell’ordine e tutta la società civile. È necessario fornire ai giovani più opportunità di lavoro, di educazione e di integrazione sociale. Solo così si potrà spezzare il circolo vizioso della violenza, restituendo speranza a chi, oggi, vede solo nella criminalità l’unica via per affermarsi.

Un futuro incerto

La crescente diffusione delle baby gang a Napoli e in altre città italiane è un segnale preoccupante. Non si tratta solo di un fenomeno criminale, ma di un problema sociale che coinvolge la società nel suo complesso. La violenza giovanile non può essere ridotta a un semplice problema di ordine pubblico: è il sintomo di un malessere più profondo, di una generazione che sta crescendo senza punti di riferimento, senza un futuro certo, in un contesto di povertà e frustrazione.

Il futuro, se non affrontato seriamente, fa paura. E non si tratta solo di un problema che riguarda Napoli: anche altre città italiane, dal Nord al Sud, stanno vivendo una situazione simile. La risposta non può essere solo repressiva, ma deve essere educativa, culturale, e sociale. Se davvero si vuole che questa violenza finisca, occorre una vera rivoluzione culturale e un impegno concreto da parte di tutte le istituzioni e della società civile. La campagna di sensibilizzazione del Comune di Napoli è un passo importante, ma il cambiamento duraturo dipenderà dalla capacità di tutti noi di offrire ai giovani una prospettiva diversa, una prospettiva che non sia fatta di violenza, ma di speranza e di opportunità.

Un futuro possibile: tornare a sperare

Nel panorama odierno, spesso segnato dalla violenza e dalla disperazione, è importante guardare anche al passato per trarre insegnamenti. I film degli anni passati, come quelli interpretati da Carlo Pedersoli, alias Bud Spencer, offrono un modello positivo che sembra quasi scomparso. La sua celebre serie di Piedone, ambientata nei quartieri di Napoli, raccontava di un poliziotto forte ma giusto, capace di portare ordine e giustizia, ma anche di instillare nei giovani un senso di speranza e di rispetto. Piedone non era un eroe da film d’azione, ma un uomo che, con la sua semplicità e umanità, riusciva a fare la differenza. Il suo personaggio incarnava i valori di onestà, rispetto e solidarietà, riuscendo a dare voce a una generazione che, nonostante le difficoltà, cercava sempre di fare la cosa giusta.

Un altro esempio significativo è Mery per sempre, un film che, pur narrando le dure realtà di un istituto penale minorile, esplorava i temi della povertà, dell’emarginazione e della lotta per un riscatto. In questo caso, il film non romanticizzava la criminalità, ma metteva in evidenza le difficoltà di ragazzi che, purtroppo, si trovavano intrappolati in un circolo vizioso di violenza e frustrazione. La vera forza del film risiedeva nel fatto che mostrava che, nonostante tutto, c’era sempre una possibilità di cambiamento, che la redenzione era possibile.

Purtroppo, oggi la realtà è cambiata: l’influenza dei social media, di Internet e di una cultura della fama immediata ha alterato le priorità dei giovani. Mentre una volta i mestieri semplici, ma dignitosi, come il muratore, l’artigiano, il meccanico, erano visti come forme di realizzazione e rispetto, oggi sembra che il successo e la visibilità siano l’unico metro di giudizio. I social media, con la loro estrema visibilità, alimentano l’idea che l’unica strada possibile per essere qualcuno sia quella della notorietà, a volte anche attraverso canali violenti o discutibili.

Tuttavia, non è tutto perduto. C’è ancora spazio per riscoprire quei valori di solidarietà, di comunità, di impegno civile che personaggi come Bud Spencer, ma anche tanti altri, hanno saputo trasmettere. Se davvero vogliamo che il ciclo di violenza che oggi affligge Napoli e altre città italiane si interrompa, è necessario che tutti, giovani e adulti, riscoprano l’importanza dei legami umani, del lavoro, della semplicità e della giustizia. La speranza, in fondo, non è mai troppo lontana. Basta solo saperla riconoscere.

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