Un anno fa di questi giorni, il 16 febbraio per la precisione, moriva in carcere all’età di 47 anni Aleksej Anatol’evič Naval’nyi, noto ed irriducibile dissidente russo, strenuo oppositore del presidente Vladimir Putin. Era rinchiuso nella colonia carceraria artica IK-3, una prigione di massima sicurezza situata oltre il circolo polare artico, nella località di Charp in Siberia. Lì era detenuto dal gennaio del 2021 e stava scontando una pena a 19 anni come conseguenza di diverse accuse, tra cui la fondazione e l’incitamento di attività e organizzazioni ritenute dalle autorità russe di stampo estremista. Annunciando il suo decesso, il servizio penitenziario russo si era affrettato a spiegare che Naval’nyi si era sentito male dopo una passeggiata, perdendo conoscenza quasi immediatamente e che gli sforzi per rianimarlo non avevano avuto successo. Pur volendo utilizzare tutta la fantasia possibile, appare al quanto inverosimile che un recluso, per giunta “sorvegliato speciale”, in un carcere di massima sicurezza denominato per le sue condizioni estreme “Lupo Polare”, volesse concedersi una passeggiata magari pure all’esterno a svariate decine di gradi sottozero. Qualche giorno dopo la scomparsa di Naval’nyi, il capo dei servizi segreti esteri russi Serghei Naryshkin, ebbe candidamente a dichiarare che il decesso sarebbe accaduto per cause naturali. Dal 1° marzo 2024 Alexei Naval’nyi giace sepolto nel cimitero moscovita di Borisov, sulle cause effettive della sua morte vige ancora una fitta coltre di mistero, alimentata da foschi depistaggi. L’aver consapevolmente pagato col sacrificio estremo la ricerca della luce al di là delle tenebre, della realtà oltre le parvenze, della libertà anche a costo della propria vita, voler testimoniare questa ricerca con coraggio e convinzione a beneficio di chi, ostaggio di un conformismo precostituito, di un sistema predeterminato, assuefatto dal pensiero omologato, ha smarrito la via per la libertà, rendono Naval’nyi il principale personaggio in chiave contemporanea del mito della caverna di Platone. Naval’nyi incarna idealmente il prigioniero della caverna che, liberato dalle catene, esce e si adatta pian piano faticosamente alla luce. Inizia così a comprendere che le ombre che vedeva proiettate nella caverna, animate dal fuoco che si trovava alle spalle dei cavernicoli incatenati, non erano la realtà, ma solo delle illusioni. E’ fuori dalla caverna che il prigioniero liberato, vede finalmente il mondo vero, fatto di oggetti reali e non di semplici ombre. Lì osserva per la prima volta i colori, i dettagli e scopre la luce del sole (allegoria della conoscenza, del confronto con la verità) che è la fonte di ogni cosa visibile. Il suo compito ora, una volta libero, è quello di tornare indietro dai suoi compagni ancora imprigionati nella caverna e mostrare loro la realtà. Per Platone è proprio questo il compito del filosofo: mostrare la verità a chi ancora non la conosce. “La Caverna di Platone” è anche il titolo di un Album uscito di recente nel quale Enrico Ruggeri raffinato ed acuto cantautore, ispirandosi al mito filosofico, espone con eleganza e pungente ironia, refrattaria al politically correct, le sue riflessioni su diversi temi, tra cui i poeti portatori del libero pensiero. “Il poeta” è il titolo del pezzo forse più suggestivo dell’Album. Il brano racconta di una persona speciale, schernita e diffamata in vita perché poco incline all’etica più comune. La divergenza dal pensiero conformista, fa sì che il poeta venga esautorato, dal momento che la sua posizione (e la verità che racconta) si rivela spesso scomoda. Il pezzo non è dedicato a Naval’nyi, non si sa a chi sia dedicato in realtà, potrebbe essere rivolto a chiunque sia stato incompreso in vita, ma leggendo il testo, la testimonianza, l’esempio e le situazioni vissute da Naval’nyi ci stanno dentro a tutto tondo. Il coro che canta “Il libero pensiero ha un prezzo da pagare”, conferma una volta di più il senso della canzone, quasi un manifesto culturale che recita: “Ci furono commenti a caldo e ognuno dava il suo parere, Fra quelli con un’opinione trasformata in un mestiere, E misero in circolazione foto, scritti giovanili e congetture, Dissero che fu un falso profeta il giorno in cui rinchiusero il poeta”. E ancora: “Tutto accadde molto in fretta senza appello o esitazione, Senza mai contraddittorio senza giustificazione, E poi per cancellarne la memoria tolsero la luce dai suoi occhi, Così la procedura fu completa il giorno in cui uccisero il poeta”, proseguendo “Così nella maniera più discreta riuscirono ad uccidere il poeta”. Eppure ciò nonostante, il verso finale del brano, riconosce al poeta il riflesso di una luce sfavillante che indica la rotta, sostenendo che malgrado tutto, “rimane come la scia di una cometa il volto illuminato del poeta.” Non sarà mai “leggera” la musica che muovendo le corde dell’anima fa vibrare i fili dei ricordi, così come non morirà colui che anche a costo della vita, si è guadagnato le stimmate della libertà.
