Con il più che probabile addio di Lorenzo Insigne al Napoli, abbiamo assodato che nel calcio le bandiere e anche ogni tipo di vessillo o stendardo non esistono più e che giocatori e presidenti sono uomini fatti di carne ossa e cartilagine e non di stamina di poliestere.
Il calcio che ha distrutto gli uomini simbolo e che si è evoluto ma senza essersi migliorato, almeno sotto l’aspetto della fidelizzazione (concetti antichi), ha oltrepassato la soglia dello “sport” nella sua originale accezione del termine e si è teletrasportato nello “show-business” che è tutt’altra cosa rispetto al “giuoco” che noi vecchietti, siamo abituati ad immaginare quando arriviamo alla lettera G dell’anagramma “FIGC”.
La disperata ricerca di danaro ha fatto sì che di “giuocoso“, nel movimento pallonaro di adesso c’è molto poco e anzi, sta diventando tutto maledettamente serio.
Anche sottacendo i processi giuridici che ci sono stati e gli scandali che continuamente coinvolgono alcune società e i loro protagonisti (Calciopoli, plusvalenze false ecc) sono i gravissimi doping amministrativi che i club più blasonati d’Europa continuano ad esercitare che ci raccontano quanto sia malata la nostra “creatura”.
Inoltre la triste sensazione è che il “pallone” non diverte più come faceva prima. Gli stadi sono più comodi ma la gente se ne allontana, le partite aumentano di numero ma lo spettacolo spesso tradisce le attese e non tutto si spiega con la presenza delle Pay tv.
A parte la Premier League i tornei nazionali nel resto del continente hanno un diligente canovaccio che porta irrimediabilmente ai soliti vincitori.
I nove campionati consecutivi vinti dalla Juventus, ad esempio, sono una lapide sul tentativo di rilanciare il prodotto calcio nel nostro paese.
Due generazioni di giovani tifosi di altre squadre italiane hanno visto mal riposta la loro passione calcistica, regolarmente disattesa nei sogni di vittoria. E se i tradizionali avversari dei torinesi, Milan e Inter, hanno avuto modo di trastullarsi nel post 2000 con successi di grande prestigio internazionale grazie ai tempi che furono di Ancelotti e Mourinho, nell’ultimo ventennio, al resto d’Italia è stato lasciato meno delle briciole ( qualche Coppa Italia, e alcune Supercoppe alle sole Napoli e Lazio).
Se si pensa poi che sull’ asse Milano -Torino ( ma potremmo tranquillamente, anche menzionare Madrid, Barcellona, Parigi e Londra), per ottenere i grandi risultati spendono e spandono senza avere bilanci sani ma pesantemente passivi, ci rendiamo conto che le vittorie che ottengono, contro avversari che rispettano le regole, sono (e ci manteniamo calmi) profondamente ingiuste.