Il covid in testa e nella vita di tutti i giorni, la pandemia che ci allontana, i casi umani, politici e gli strani casi, come quello del signor Novak Djokovic, che esercita la professione di numero uno del tennis mondiale.
Quando è atterrato con il suo bel permesso speciale (non si sa di quale natura) all’aeroporto di Tullamarine a Melbourne per disputare il primo grande torneo della stagione tennistica, da raccomandato di lusso, si è trasformato in rigettato con disonore.
Non si capisce se le autorità australiane hanno usato il pugno duro con il campione, trattandolo con piglio “esemplare”, all’indomani delle critiche piovutegli addosso, per presunti favoritismi al “grande personaggio di turno”, da gran parte della stampa.
Di fatto, queste accuse si sono rilevate anzitutto premature, poi infondate. Al fuoriclasse della racchetta è stata altresì riservata un’accoglienza tutt’altro che soft, arrivato alla dogana, causa un piccolo problema legato al passaporto, è stato trattenuto e interrogato per più di cinque ore.
Noi tutti sappiamo con quale zelo gli impiegati di quella nazione fanno questo lavoro, facendo rispettare le proprie leggi e condividiamo il loro timore di infiltrazione nel loro territorio di mele marce e delinquenti abituali, ma sappiamo pure che il multimilionario e celebratissimo serbo, non è l’uno né l’altro e il motivo che lo ha portato in quel paese dell’Oceania è stranoto a tutti.
Nessuno sa però se Novak ha fatto il vaccino contro il coronavirus e in base alle leggi australiane, senza l’attestato che lo certifica o adeguata deroga, nessuno può sbarcare nella terra dei canguri.
L’espulsione che ne è seguita è una conseguenza naturale, ma non l’ultima di questa vicenda, che vedrà il suo epilogo sabato prossimo alle 14;00.
Il campione con i suoi legali farà ricorso contro tale decisione e dovrà dimostrare davanti ai giudici per l’immigrazione che aveva l”esenzione medica, in assenza di “green pass“, che gli permetteva di partecipare agli Australian Open e sperare che lo stesso attestato sia ritenuto sufficiente per la sua permanenza in quel paese.
In caso contrario, sarebbe confermata l’espulsione con il pericolo di condanna e divieto di entrare per i prossimi tre anni nel paese del “first Open“.
Intanto le due nazioni coinvolte Serbia e Australia tangono l’incidente diplomatico: i primi protestano per i presunti maltrattamenti subiti dal connazionale, i secondi per il comportamento non “irreprensibile” di questi.
Il mondo attende incuriosito il finale della storia e noi ci domandiamo: Cose da pazzi? No, cose da Covid!